IL FLOP DI STARBUCKS IN ITALIA E IN AUSTRALIA

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IL FLOP DI STARBUCKS IN ITALIA E IN AUSTRALIA Anche per un brand rinomato e famoso in tutto il mondo può accadere di non avere lo stesso successo ovunque. Ne è un esempio Starbucks, che non ha avuto lo stesso fascino per tutti. In particolare in Italia e in Australia dove l’azienda non è riuscita a consolidare il proprio business come è invece accaduto in altri paesi, perdendo di conseguenza appeal e interesse da parte dei consumatori tanto da dover chiudere i propri punti vendita. Ma quali sono i motivi di questo insuccesso?

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IL FLOP DI STARBUCKS IN ITALIA E IN AUSTRALIA

I motivi del presunto insuccesso del famoso brand americano

Anche per un brand rinomato e famoso in tutto il mondo può accadere di non avere lo stesso successo ovunque. Ne è un esempio Starbucks, che non ha avuto lo stesso fascino per tutti. In particolare in Italia e in Australia dove l’azienda non è riuscita a consolidare il proprio business come è invece accaduto in altri paesi, perdendo di conseguenza appeal e interesse da parte dei consumatori tanto da dover chiudere i propri punti vendita. Ma quali sono i motivi di questo insuccesso? [h2]Starbucks e l’Italia, croce e delizia[/h2] Starbucks è un colosso della ristorazione che oggi conta ben più di 22 mila locali in tutto il mondo. Ma facciamo un passo indietro. Come è nato l’iconico marchio che esporta caffè americano in tutto il mondo? Pensate che il creatore di Starbucks inaugura la sua prima caffetteria ispirato proprio da un suo viaggio in Italia e affascinato dalla sua cultura. E così, il 30 marzo 1971 apre a Seattle il primo negozio con l’intento di ricreare un posto dove la gente potesse sentirsi a casa proprio come nel Bel Paese. [br]break-line[/br] Nel giro di 30 anni il brand si espande ovunque, aprendo locali in ogni dove, ma solo nel settembre 2018 fa il suo ingresso nel mercato italiano. E proprio in Italia fa difficoltà ad avere lo stesso successo. [img]magazine/article43/2.jpg[/img] [h2]I motivi dell’insuccesso[/h2] È di qualche mese fa la notizia della chiusura di due punti vendita Starbucks a Milano. E letta così sembrerebbe una notizia. Analizzandola, però, emerge un quadro un po’ più articolato rispetto al racconto della fine della “storia d’amore” tra l’Italia e il mito del caffè americano narrato da diversi giornali. [br]break-line[/br] Sicuramente, [b]uno dei motivi dello pseudo fallimento italiano di Starbucks è legato alla tradizione gastronomica del nostro paese[/b], da sempre sinonimo di esclusività per determinati prodotti. Diciamolo chiaramente, l’espresso è tutt’altra cosa e la versione americana non può essere pienamente apprezzata in un paese con una cultura del caffè così consolidata. [b]In Italia bere un espresso è un rituale[/b]: che sia a casa o al bar, il momento del caffè ha un fascino tutto “patriottico” che poco ha a che fare con le usanze americane. D'altronde, queste sono le stesse motivazioni alla base del freno all’affermazione italiana di altri colossi del settore, come PizzaHut o Domino's Pizza. [br]break-line[/br] Negli ultimi tempi il gigante americano ha cercato di specializzarsi nelle roastery, un concept di ristorazione diverso per cui il negozio diventa un vero e proprio museo del caffè, proponendo quindi un’esperienza alternativa e non più in aperta competizione con i bar italiani. Neppure questo è bastato però per scongiurare il [b]flop del marchio[/b], [b]colpito come tutto il settore dai due anni di pandemia[/b]. Alla base delle chiusure dei due punti vendita di via Turati e di Porta Romana ci sarebbe infatti un’inflessione del fatturato del 50% a causa dell’emergenza Covid: da una parte, dunque, lo smart working e le limitazioni ai movimenti, dall’altra parte la minore affluenza turistica nel nostro territorio, considerando la notorietà di Starbucks tra gli stranieri. [h2]Starbucks e l’Australia[/h2] Anche in Australia le cose non sono andate come ci si aspettava, per cui la catena statunitense di caffè non ha suscitato l’interesse dei consumatori come si poteva supporre. Il motivo? Potrebbe essere che anche qui l’azienda non si sia saputa adeguare efficacemente alle usanze locali. Difatti, [b]in Australia l’abitudine di bere il caffè espresso è abbastanza diffusa[/b] per via dell’influenza subita dall’immigrazione di italiani e greci nel dopoguerra. [br]break-line[/br] Dagli anni ‘80 in poi, sono state aperte su tutto il territorio australiano moltissime caffetterie, diffondendo così la cultura del caffè tra la popolazione. E proprio il fascino delle caffetterie locali è un aspetto che Starbucks non ha considerato con attenzione, facendo affidamento sull’idea che la cultura australiana fosse molto simile a quella americana, per cui sarebbe stato logico pensare che il concept dei loro negozi potesse funzionare. E invece no, non è stato così.  [br]break-line[/br] [b]Oltre alla mancanza di attenzione verso la cultura del caffè locale[/b] consolidata da tempo, [b]il ritmo di espansione dell’azienda è sicuramente l’altra ragione dell’insuccesso[/b]. [img]magazine/article43/3.jpg[/img] [nl]new-line[/nl] Nel periodo di massima espansione di Starbucks negli Stati Uniti, è stato aperto uno store ogni 4 ore: ad ogni apertura un ulteriore successo, amplificato dal sempre crescente interesse degli americani per questo concept di store. Vista la somiglianza del target, [b]Starbucks ha pensato di replicare il modello anche in Australia, aprendo fin da subito un numero spropositato di caffetterie[/b], non rendendosi conto però di eliminare dalla strategia di marketing un elemento fondamentale per il successo: l’attesa. Aprendo contemporaneamente migliaia di locali i cittadini non hanno visto in Starbucks niente di più di una catena di caffetterie.

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