ARTE E COMUNICAZIONE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE Il 25 novembre anche l’Italia celebra la Giornata internazionale contro violenza sulle donne, nata sotto gli auspici delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica a proposito di un tema gravoso e diffuso, purtroppo, globalmente.
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Il 25 novembre anche l’Italia celebra la [b]Giornata internazionale contro violenza sulle donne[/b], nata sotto gli auspici delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica a proposito di un tema gravoso e diffuso, purtroppo, globalmente. Istituita nel 1999, la Giornata del 25 novembre ricorda una data ben precisa, quella del brutale omicidio delle tre sorelle Mirabal, attiviste rivoluzionarie che negli anni Cinquanta ebbero il coraggio di sfidare il machismo del regime dominicano di Rafael Leònida Trujillo. Il sacrificio delle Mariposas, così si facevano chiamare le tre sorelle, permane nella storia come simbolo alla lotta contro una violenza definita dalle Nazioni Unite come “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”. Nonostante una differente attenzione sociale al fenomeno e l’aumento del numero delle denunce in occidente, la violenza sulle donne rimane ancora un dramma che attraversa confini e culture, come dimostrano i tragici episodi riportati dai media. [nl]new-line[/nl] L'arte e le campagne di comunicazione online e offline sono strumenti che da molti anni si intrecciano per combattere la violenza sulle donne, cercando di coinvolgere e sensibilizzare il maggior numero di persone. Attraverso linguaggi visivi e narrativi, gli ambiti della comunicazione continuano a essere strumenti di grande impatto, capaci di rompere il silenzio. [h2] Arte come mezzo per combattere la violenza[/h2] Negli anni numerosi artisti hanno utilizzato il potere comunicativo delle loro opere per denunciare ingiustizie e violenze radicate nelle loro società di appartenenza. Attraverso dipinti, sculture, performance, installazioni e street art gli artisti hanno saputo portare alla luce episodi di cronaca supportando le voci delle vittime e sviluppando dibattiti profondi, affrontando così anche questioni politiche più ampie, sfidando i paradigmi di un sistema sociale che continua a perpetuare disuguaglianze e discriminazioni. La matrice patriarcale della società, nonostante i progressi degli ultimi decenni in alcune parti del mondo, resta evidente in molte sue manifestazioni: dalla disparità di genere, alle dinamiche di potere, ai pregiudizi culturali e alle strutture economiche che rafforzano queste disuguaglianze. Le campagne artistiche di denuncia sono diventate strumenti potenti di sensibilizzazione, capaci di raggiungere non solo le élite culturali, ma anche il grande pubblico, spingendo alla riflessione e all’azione: l’arte diventa non solo una forma di espressione personale, ma anche un atto politico, capace di innescare un cambiamento sociale. [nl]new-line[/nl] In relazione all’efferato omicidio di Giulia Cecchettin, uno dei fatti di cronaca più recenti che ha pervaso l’opinione pubblica italiana, Tvboy, street artist palermitano dal linguaggio incisivo e immediato, ha scelto di intervenire sul tema della violenza di genere. Il murales di Tvboy si inserisce in un contesto di grande dolore e riflessione collettiva, e il messaggio dello street artist si amplia con la pubblicazione sui suoi profili social di un forte messaggio di denuncia: “Basta violenza sulle donne. Non dovremmo proteggere le nostre figlie, ma educare i nostri figli”, accompagnato dall'hashtag #giuliacecchettin. Con questo gesto che integra processo artistico e comunicazione, Tvboy non solo commemora Giulia, ma esprime un appello urgente a un cambiamento culturale profondo. Il suo messaggio non si limita a condannare il femminicidio, ma tocca il cuore di una problematica più vasta, quella della responsabilità educativa. Tvboy ci invita a riflettere sul fatto che la prevenzione della violenza di genere non può passare solo dalla protezione delle donne, spesso viste come vittime da difendere, ma deve necessariamente coinvolgere un ripensamento dell'educazione dei ragazzi, affinché crescano in una cultura del rispetto e dell'uguaglianza. [pic]magazine/article5/2.jpg[/pic] [nl]new-line[/nl] Regina José Galindo, artista originaria del Guatemala, ha fatto del suo corpo il principale mezzo di espressione artistica per denunciare i crimini e le violenze commesse contro le donne, in particolare nel suo paese d'origine. Galindo è conosciuta a livello internazionale soprattutto per la performance "Perra", realizzata nel 2005. In quest’opera estremamente provocatoria, l’artista incide con un coltello sulla propria pelle la parola "Perra" (in spagnolo "cagna" o, in senso dispregiativo, "puttana"), trasformando il proprio corpo in una testimonianza vivente di protesta contro le oppressioni e le umiliazioni subite dalle donne guatemalteche. Questa azione racchiude un forte impatto visivo ed emotivo, e costringe l’osservatore a confrontarsi con la brutalità di un linguaggio che, troppo spesso, viene usato per denigrare, disumanizzare le donne e ridurle a oggetti sessuali. L'atto di incidersi la parola sulla pelle, utilizzando un coltello, ha trasformato l'insulto in un grido di denuncia e in un modo radicale per esprimere la propria identità e ribellione. La forza di "Perra" risiede nella capacità di mettere a nudo non solo la carne, ma anche la vulnerabilità e la forza interiore delle donne che, ogni giorno, subiscono violenze fisiche, psicologiche e simboliche. [pic]magazine/article5/3.jpg[/pic] [nl]new-line[/nl] Nel 2014, un muro di Milano, situato in via De Amicis, si è trasformato in una potente opera d’arte collettiva, grazie all’iniziativa Wall of Dolls, ideata da Jo Squillo e sostenuta da WeWorld Intervita. Questo progetto ha coinvolto 50 brand internazionali rappresentativi del Made in Italy, 20 artiste e scrittrici, e 16 organizzazioni non profit, che insieme hanno dato vita a un’installazione dall'altissimo impatto emotivo e visivo. “Wall of Dolls”, Il Muro delle Bambole contro il femminicidio, che nel 2019 è diventato una ONLUS, si ispira a un’antica tradizione indiana per la quale, ogni volta che una donna subisce violenza, una bambola viene affissa sulla porta della sua casa. L'opera è diventata un monumento simbolico contro la violenza sulle donne, con il suo messaggio di denuncia e sensibilizzazione incastonato nel tessuto urbano milanese. Il Wall of Dolls rappresenta un grido collettivo contro la violenza di genere, una forma d'arte pubblica che parla direttamente ai passanti, coinvolgendoli emotivamente e invitandoli a riflettere sulla gravità di un problema che affligge la nostra società a livello globale. Il muro è diventato un luogo di memoria e impegno civile, una sorta di altare laico dedicato a tutte le vittime di femminicidio, ma anche un segno tangibile della lotta in corso per l'uguaglianza di genere e i diritti delle donne. Il Wall of Dolls ha suscitato una vasta eco, diventando un punto di riferimento per eventi e manifestazioni in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, e rimanendo uno spazio vivo che continua a parlare al cuore delle persone, ricordando costantemente l'importanza di agire, denunciare e non restare indifferenti di fronte alle ingiustizie. Nel corso degli anni, il muro si è duplicato in altre città come Roma, Genova, Venezia, Brescia, Trieste e Portogruaro, facendo sì che il messaggio di lotta e resistenza contro la violenza di genere si espandesse su tutto il territorio nazionale. Inoltre, il Wall of Dolls ha trovato spazio anche presso la Casa delle Arti Alda Merini, rafforzando la sua presenza e il suo significato. In questo contesto le bambole non sono più solo simboli dell'infanzia, ma si trasformano in testimoni silenziose di una femminilità troppe volte violata, diventando un invito costante a rispettare la dignità delle donne, richiamando l'urgenza di un cambiamento culturale e sociale. [pic]magazine/article5/4.jpg[/pic] [nl]new-line[/nl] Anche l'Azienda Trasporti Milanesi (ATM) ha deciso di prendere posizione sul tema della violenza di genere, attraverso una campagna di sensibilizzazione che ha saputo coniugare arte e impegno civile. ATM ha collaborato con Bahar Sabzevari, un’artista iraniana residente a New York, nota per le sue opere di denuncia contro la discriminazione e l’oppressione delle donne nel suo Paese, il suo lavoro è intrinsecamente legato alla lotta per i diritti delle donne, in particolare alla situazione delle donne iraniane, le cui voci sono state a lungo silenziate, ma che continuano a emergere con forza e coraggio, soprattutto negli ultimi anni.Per un mese intero, le opere di Sabzevari hanno invaso gli spazi pubblicitari della metropolitana milanese e sui profili social dell'ATM, raffigurando volti femminili ritratti con capigliature mostruose e intricate, secondo una scelta iconografica densa di significato che rimanda ai lunghi capelli delle donne iraniane. Chiome figurative, distorte e fuori controllo evocano uno stato di ribellione interiore e simbolica, un'allusione a uno dei gesti di protesta più emblematici delle donne iraniane, che scelgono di mostrare i loro capelli e tagliarli in pubblico in segno di protesta alle leggi oppressive che le privano della libertà di espressione e del controllo sul proprio corpo. Questo gesto, che ha assunto una risonanza globale, è diventato simbolo di resistenza dopo l’omicidio di Mahsa Amini, una giovane ventiduenne iraniana uccisa nel 2022 dalla polizia religiosa perché non indossava correttamente lo shador, il velo imposto dalle leggi iraniane. La morte di Mahsa Amini ha provocato un’ondata di proteste senza precedenti in Iran, dove migliaia di donne, e non solo, hanno scelto di sfidare apertamente il regime e le sue imposizioni. Le immagini delle donne iraniane che tagliano i loro capelli in segno di protesta hanno fatto il giro del mondo, diventando un simbolo universale della lotta contro l'oppressione e la violenza di genere. Nel 2023, a un anno dalla morte di Mahsa, la campagna promossa da ATM ha voluto ricordare che la battaglia delle donne iraniane non è finita, ma continua con forza, alimentata dal coraggio e dalla volontà di cambiamento sociale. [pic]magazine/article5/5.jpg[/pic] [nl]new-line[/nl] [h3] Simbologie di denuncia diffuse e condivise[/h3] La diffusione nel contesto quotidiano di rimandi simbolici al dramma della violenza sulle donne è una forma di denuncia sociale capillare. Scarpe rosse, panchine rosse o altre forme visive di denuncia sociale sono simboli che entrano a far parte del paesaggio urbano e del nostro vissuto quotidiano, rappresentando atti di memoria e consapevolezza e strumenti potenti di trasformazione sociale. Elementi di connessione tra arte, vita e impegno civile, questi simboli sono in grado di coinvolgere la collettività in una riflessione condivisa su tematiche cruciali come quello della violenza di genere. Quando un oggetto ordinario, come una panchina o un paio di scarpe, viene trasformato in un emblema di denuncia, quel simbolo si carica di significati in grado di trasmettere messaggi profondi in modo immediato e accessibile. Le panchine rosse, ad esempio, ci ricordano che la violenza di genere è una realtà quotidiana per molte donne, e lo fanno in uno spazio pubblico che frequentiamo ogni giorno commemorando le vittime, e tenendo viva la consapevolezza che il cambiamento è possibile solo attraverso un'azione collettiva e costante. [nl]new-line[/nl] Le scarpe rosse devono il loro significato simbolico all'opera di Elina Chauvet, un’artista messicana che nel 2009 ha ideato la performance "Zapatos Rojos" (Scarpe Rosse) per denunciare i femminicidi a Ciudad Juárez, una città messicana nota per l'alto numero di donne scomparse o uccise. Le scarpe, dipinte di rosso, simboleggiano le vite delle donne spezzate dalla violenza; scarpe vuote che, esposte in spazi pubblici, evocano l'assenza delle vittime, diventando una testimonianza visibile del sangue versato senza ragione, ma anche rappresentazione della forza e della passione di chi lotta per la giustizia e la difesa dei diritti delle donne. Nel tempo, il progetto di Chauvet è diventato una performance itinerante che ha coinvolto diverse città di tutto il mondo, facendo delle scarpe rosse un simbolo riconosciuto globalmente. [pic]magazine/article5/6.jpg[/pic] [nl]new-line[/nl] [h3]Campagne di comunicazione e hashtag virali[/h3] Numerose campagne di comunicazione sono state realizzate per sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza di genere, alcune delle quali hanno raggiunto un vasto pubblico. La comunicazione ha dimostrato di essere uno strumento efficace non solo per denunciare la violenza fisica, ma anche per mettere in guardia contro forme di abuso meno evidenti, come quella verbale e psicologica. [nl]new-line[/nl] La violenza non fisica è spesso più difficile da riconoscere, ma il passaggio dalla violenza verbale a quella fisica può essere rapido ed è per questo che il marchio Yves Saint Laurent Beauty ha sviluppato una campagna volta a combattere la violenza nelle relazioni intime, intitolata "Abuse is not Love” e creata nel 2020 insieme all’organizzazione no profit D.i.Re. Donne in Rete contro la violenza. La campagna sottolinea la necessità di saper riconoscere i segnali di allarme e cerca di comunicarli graficamente per coinvolgere in maniera diretta il più numero di persone possibili. Il progetto di YVL Beauty non si è esaurito con il solo lancio del messaggio, ma continua a supportare organizzazioni no profit in tutto il mondo con l’obiettivo di educare al riconoscimento della violenza domestica almeno 2 milioni di persone entro il 2030. [video]https://www.youtube.com/embed/xMQ7PS8GwB0?si=NPmjod72tsDneW4G[/video] [nl]new-line[/nl] L’opinione pubblica italiana è stata fortemente scossa dall’amicidio di Giulia Cecchettin a opera dell’ex fidanzato Filippo Turetta. Questo terribile fatto di cronaca, unito alla presa di posizione della sorella di Giulia, ha coinvolto i media tradizionali e i social media in una discussione articolata intorno alle responsabilità dell’attenzione nei confronti dei contesti di abuso. Sempre all’erta, le donne devono limitare le proprie libertà per gestire da sole una problematica che coinvolge in realtà tutto il tessuto sociale. Spesso solamente le voci femminili emergono in cerca di denuncia della violenza sottesa che permea la quotidianità in cui vivono e sui giornali la narrazione dei casi di cronaca vede i carnefici frequentemente rappresentati come "bravi ragazzi" colti da un raptus, mentre le vittime restano al centro dell’attenzione mediatica. Elena Cecchettin ha sottolineato con coraggio la responsabilità del carnefice, chiamando a un’attenzione sociale condivisa sul tema degli abusi attraverso la poesia di Cristina Torres Cáceres "Se domani non torno”. I versi hanno invaso la rete con migliaia di condivisioni con l’hashtag [b]#giuliacecchettin[/b] e realizzazioni di slogan dedicati, come quelli utilizzati dal movimento Non Una di meno e da altre organizzazioni in occasione delle manifestazioni in onore di Giulia e delle altre vittime di femminicidio. [nl]new-line[/nl] “Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto. / Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”. [nl]new-line[/nl] Nel Regno Unito, l'ente di beneficenza Women's AID, in collaborazione con l'agenzia di comunicazione WCRS, ha sviluppato negli ultimi anni campagne mirate a denunciare la violenza domestica. Un esempio significativo è la campagna cartellonistica del 2015, intitolata "Look at me", che ha utilizzato in modo innovativo la tecnologia di telecamere e display interattivi. Il cartellone mostrava l'immagine di una modella con il volto segnato da lividi, accompagnata dalla scritta "Look at me". Grazie alle telecamere, il cartellone era in grado di rilevare i volti dei passanti, e, ogni volta che qualcuno volgeva lo sguardo verso l’immagine, una barra di caricamento veniva aggiornata: al completamento della barra, il volto della modella si rigenerava, tornando privo di segni e lividi. La campagna "Look at me" è stata progettata per sensibilizzare le persone, spingendole a prestare attenzione alla violenza domestica e producendo un effetto di partecipazione sociale e presa di coscienza. [video]https://www.youtube.com/embed/wEybVOerb9Q?si=N5TPqpieHzTAT6l2[/video] [nl]new-line[/nl] In Italia, una campagna di grande impatto è stata lanciata il 25 novembre 2018 dall'allora vicepresidente della Camera, Mara Carfagna. L'iniziativa ha visto la partecipazione di figure di spicco del mondo dello spettacolo, della cultura, della moda, dello sport, dell'università, dell'informazione e della politica, raggiungendo in breve tempo un vasto pubblico. Diffusa con il claim "Non è normale che sia normale", la campagna ha denunciato l’assuefazione della società alla violenza di genere. Un messaggio semplice ma incisivo, che non punta a individuare i colpevoli, ma a sviluppare consapevolezza nelle persone con l’obiettivo di sensibilizzare attivamente sul tema. Gli utenti sono stati invitati a pubblicare una loro foto o un loro video segnandosi con un colore rosso il volto, al di sotto dell’occhio, a simulare una ferita inflitta da violenza domestica. Le immagini sono state accompagnate dall’hashtag [b]#nonènormalechesianormale[/b] e grazie a questo approccio diretto e alla partecipazione trasversale, la campagna ha coinvolto persone di tutte le età, riscuotendo un enorme successo. [pic]magazine/article5/9.jpg[/pic] [nl]new-line[/nl] Un'ulteriore importante campagna di sensibilizzazione si è avviata in modo spontaneo in tutto il mondo. Nel 2006 la sopravvissuta a violenza e attivista Tarana Burke ha fondato il movimento Me Too per costruire una comunità di persone vittime di abusi che potessero sostenersi a vicenda. Tuttavia, il momento di svolta è arrivato nel 2017, quando l'attrice Alyssa Milano ha pubblicato un tweet che diceva: “Se tutte le donne che sono state sessualmente molestate scrivessero 'Me too' come status, potremmo dare alle persone un'idea della magnitudo del problema”. Questo messaggio è stato condiviso pochi giorni dopo la pubblicazione del primo articolo del New York Times sugli abusi sessuali commessi dal produttore Harvey Weinstein. La risposta è stata massiccia: #MeToo è diventato rapidamente un hashtag virale, con milioni di persone, famose e non, che hanno decido di condividere la propria esperienza con la frase "Anche io". Nel giro di 24 ore, #MeToo è stato usato 500.000 volte su Twitter, e su Facebook sono stati pubblicati 12 milioni di post sul tema nello stesso lasso di tempo. Il movimento ha messo in luce la vastità del problema delle molestie e delle violenze sessuali subite dalle donne, rivelando quanto il fenomeno sia diffuso. Ciò che era iniziato come un'iniziativa locale e comunitaria si è trasformato in una campagna globale sui social media e successivamente in una organizzazione internazionale che, ancora oggi, continua a combattere per i diritti delle sopravvissute e contro la violenza di genere. [pic]magazine/article5/10.jpg[/pic] [nl]new-line[/nl] [h3]Hai bisogno di professionisti che aiutino la tua impresa a comunicare, promuoversi e raccontarsi?[/h3] Noi di Otix siamo pronti per creare e raccontare insieme una storia, LA TUA. [br]break-line[/br] Puoi contattarci inviandoci una email all’indirizzo [url]info@otix.it [/url]o chiamando al [url]800 18 20 60[/url]
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